Piero Mandelli di mestiere negli anni ’80 faceva la guardia. Non inseguiva i ladri, ma sparava da tre punti e le retine degli avversari della Liberti prima e Neutro Roberts poi cadevano a grappoli. Quando il basket a Firenze era di casa e J.J. Anderson, l’angelo di ebano, in coppia con Rambo-Ebeling, facevano sognare una città. C’erano anche Valenti, Andreani, Sonaglia e Piero Mandelli. ’Geppetto’ per quella zazzera bionda e gli occhi di ghiaccio che non perdevano di vista l’anello da bucare sul suono della sirena. Quante ne ha vinte così, il dottor Mandelli. Già, perchè se la palla a spicchi era la sua passione, nella ’vita da grande’ la medicina è diventata una professione. Ora la zazzera si è solo imbiancata e dietro la mascherina d’ordinanza saettano ancora quelle pupille che non dimentichi. Neppure adesso i polsi tremano, mentre attraversa le corsie del Pronto Soccorso dell’ospedale Humanitas Gradenigo – a Torino – dove il dottor Piero Mandelli, dalla prima ondata, è in prima fila in questa emergenza sanitaria globale causata dal Covid-19.
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Dottor Mandelli, fa un certo effetto chiamarla così. Qui a Firenze la ricordano ancora con grande nostalgia.
“Io della città e di tutte quelle emozioni che abbiamo provato insieme. Dalla A2 alla promozione storica in A1 e i 5mila contro Varese”,
Dalla linea da tre punti alla prima linea contro il virus…
“La medicina è sempre stata la mia passione. Appena ho smesso di giocare sono riuscito a dare Anatomia Patologica, esame durissimo. Da lì in poi sono stato bravo e fortunato, entrando subito a Gradenigo, poi nel pronto soccorso”.
Non pensava certo di essere travolto da questa emergenza
“All’inizio non pensavamo che fosse così. Quando è iniziata il Lombardia facevamo fatica a credere ai racconti dei nostri colleghi milanesi”.
Il momento più difficile?
“Quando si è ammalato il primario (ora guarito, ndr) ho fatto le sue veci, tirando le fila dell’area di emergenza e urgenza”.
Come si fa a mantenere l’equilibrio in una situazione del genere?
“Parlare tra colleghi per esorcizzare una situazione drammatica. Non ero preparato, ma chi era preparato all’inizio”?
Quanto le è servita la carriera sportiva in questo frangente?
“Tantissimo. Lavoro con colleghi bravissimi, ma lo sport sviluppa rapporti umani che non hanno uguali. Come quello con gli arbitri: con ognuno sai cosa devi dire e cosa fare. Una scuola di vita. In fondo anche noi medici siamo una squadra”.
Giampaolo Marchini – La Nazione 1 Dicembre
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