Firenze e Roma hanno in comune nel basket la freddezza del loro pubblico. Ci sono forti analogie tra le due città chiuse sulla loro devota passione calcistica, che non lasciano spazio agli altri sport, basket compreso. E’ di questi giorni l’intervista a Toti, patron della Virtus Roma, che si dispera della carenza di pubblico al PalaTiziano: “Cosa devo fare per riempire il Palazzetto?” dice Toti che oltre tutto ha la squadra in testa al massimo campionato, e dopo che lo scorso anno ha giocato la finale playoff scudetto?
A questo sfogo è seguito poi un interessante articolo di Emilio Ratti su Basketlive.it che analizza le cause della problematica capitolina, nelle quali si possono intravedere le analogie sopra menzionate, con la nostra Firenze. Mi sento di condividerne alcuni punti che vi segnalo, per il resto vi consiglio di leggere l’articolo completo.
La mancanza di una grande tradizione – Se non ci fosse stato il Banco di Roma, la pallacanestro romana avrebbe avuto la metà del seguito attuale. L’età media degli abbonati della Virtus Roma è più alta rispetto a quella di altre realtà, ciò è dovuto al fatto che sono stati in molti ad essersi appassionati grazie ai successi dei ragazzi di Bianchini, scegliendo poi di continuare a sostenere la squadra anche nei momenti difficili. Purtroppo le imprese sportive della Virtus sono in gran parte legate a quel decennio e non rappresentano un fattore in grado di attirare i più giovani. Tante volte mi sono chiesto se avesse un senso il mio girovagare tra leghe minori e settori giovanili, oggi quel senso l’ho trovato: mi ha aiutato a capire che a Roma non manca la passione per il basket, manca la passione per la Virtus.
Il giocatore – In questo momento vive dall’altra parte dell’oceano la persona che avrebbe potuto dare molto al basket romano: Andrea Bargnani. Il primo dei nostri italiani in Nba è nato nella capitale, cresciuto nella Stella Azzurra, ma esploso a Treviso.
Lo scomodo coinquilino – Nessuno ne parla mai, chi ama davvero la pallacanestro troppo spesso fa finta di non vedere e si gira dall’altra parte. Lo Stadio Olimpico è molto vicino al PalaTiziano ed è facile da raggiungere, ciò fa del palazzetto una tappa intermedia. Vedere gran parte del pubblico la domenica pomeriggio uscire alla fine del terzo quarto, perché in concomitanza c’è l’apertura dei cancelli allo stadio per il posticipo, fa male. A volte accade il contrario ed è il tifoso di calcio che decide dopo la partita delle 15 di fare tappa al Palazzetto, per vedere com’è quello sport strano che viene dall’America. La convivenza tra il basket ed una città che vive per il pallone è difficile. È il muro portante della barriera che impedisce l’amore tra Roma e la pallacanestro.
Difficoltà nell’identificarsi – È un problema che riguarda l’intero movimento italiano e che di conseguenza colpisce le realtà minori. Roma si era innamorata della squadra dello scorso anno perché al suo interno c’era molto del nostro paese e della stessa città: il leader era italiano, Gigi Datome, l’allenatore era nato ed aveva iniziato la propria carriera a Roma, Marco Calvani. Per troppi anni la nuova proprietà ha puntato su giocatori e tecnici stranieri, la lista di allenatori provenienti dalla penisola balcanica è davvero lunga. Per fortuna si è deciso di cambiare rotta nelle ultime stagioni e la scelta di Dalmonte ne è la conferma.