«Duemilacinquecento euro altrimenti non avrà il cartellino di suo figlio». Davanti a una simile richiesta, il genitore di un cestista di 14 anni, che gioca a basket per divertimento, ha provato un forte sentimento d’ingiustizia.
Ed accompagnato dal suo avvocato, è corso a denunciare in procura. Sarà la magistratura a stabilire se un alto dirigente di una società dilettantistica di pallacanestro fiorentina ha infranto o meno il codice penale. Di sicuro, c’è che lo sport torna ad occupare le pagine della cronaca, e non per quei valori di cui le discipline – tutte – sono portatrici. Sull’onestà e il rispetto, prevale l’interesse e il lucro. Almeno a leggere l’esposto depositato sia in tribunale, sia alla giustizia sportiva, chiamati ora a cercare di risolvere il caso. E trovare una soluzione, per altro molto semplice: consentire a un 14enne di giocare dove più gli piace e dove si trova meglio.
Nella società che ha sede a Firenze il giovane non si era ben inserito. Da qui la scelta di cambiare aria, anche per scongiurare il rischio dell’abbandono del basket. La famiglia preme sulla società e riesce ad ottenere il via libera per un anno in prestito. Il ragazzo approda a una nuova società, la Sancat, e le cose migliorano: il 14enne gioca, si diverte e stringe solide amicizie. Finisce la stagione e il cestista non ha dubbi: non vuol tornare alla vecchia società, “proprietaria” del suo cartellino, ma restare alla Sancat. Il padre sente il presidente, per sciogliere il rapporto e definire il trasferimento.
Ma per lo svincolo questi chiede 2500 euro. Richiesta che il genitore registra e che verrà ribadita dal presidente anche al legale della famiglia del ragazzo, l’avvocato Andrea Pettini. Il presidente non retrocede. Né di un centimetro, né di un euro. Anzi sì: nell’ultima nota intercorsa tra le parti cambia posizione e dice non volere un ritorno economico, ma di voler disporre dell’atleta. Niente svincolo, insomma. Ma se la famiglia avesse pagato? Dell’accaduto, è stata informata anche la Federazione italiana pallacanestro.
«La possibilità che un presidente chieda soldi ai genitori per il cartellino non è prevista in nessun regolamento e statuto Fip, tanto più che si tratta di un atleta che gioca a livello dilettantistico e di soli 14 anni – denuncia il padre – È una pratica non corretta e le famiglie molto spesso si trovano costrette ad accontentare le richieste economiche per permettere ai propri figli di continuare a praticare serenamente la propria attività sportiva preferita». Attività che peraltro a breve ricomincerà.
Stefano Brogioni – La Nazione
(immagine di repertorio)
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