La recente eliminazione ai quarti dell’Europeo degli azzurri del basket ha riaperto prepotentemente la necessità di analizzare il “sistema-Italia” che non è capace da molti anni ormai, di raggiungere obiettivi importanti. Anche come Basketblog ci piace portare il nostro contributo alla discussione tra addetti ai lavori e sensibilizzare i lettori su un argomento che nel nostro piccolo ci riguarda pienamente. Sulla capacità di un movimento di crescere e produrre nuovi talenti è intervenuto anche coach Boniciolli sulle colonne de Il Piccolo. Secondo lui serve coraggio per riformare il basket italiano e non mancano gli esempi da seguire. Basta abbandonare quell’immobilismo e conservatorismo tipico italiano in molte sue sfaccettature, aggiungiamo noi.
“Autocommiserarsi piangendo sul fatto che mancano giocatori di alto livello è una scorciatoia troppo comoda – spiega al Piccolo Boniccioli -. I talenti sono rari. La stessa Slovenia sotto canestro ha Vidmar e siamo sicuri che Cusin valga meno? Il problema, visto che non possiamo prevedere la nascita dei mostri, è produrre tanti buoni giocatori di medio livello su cui investire”.
Di chi è la responsabilità? “Le colpe sono di tutti. In Italia si cercano e si valutano i tecnici in base ai risultati. Hai vinto? Sei bravo. Un esempio. In Lituania, alla scuola tecnica di Marciulonis, il criterio di valutazione di un coach non era l’albo d’oro ma la qualità e il numero dei giocatori prodotti. Di conseguenza cambia anche il tipo di lavoro impostato in palestra”. Un modello irrealizzabile in Italia? Boniciolli ribatte con un esempio. “L’allora Stefanel Trieste lanciò Dejan Bodiroga a 17 anni impostandolo play. Nessun altro club lo avrebbe fatto, al limite i suoi 204 cm sarebbero stati usati da ala forte. E forse Bodiroga non sarebbe diventato Bodiroga. Ci vuole coraggio. In Italia stiamo troppo attenti a coltivare il nostro orto. Perché non si investe anche a livello giovanile sui preparatori atletici per sopperire alle carenze drammatiche del sistema scolastico?”.
Boniciolli individua una possibile soluzione. “La Federazione non ha mai pensato in modo concreto a un campionato intermedio tra la fine dei tornei giovanili e quelli senior. Parlo di una Ncaa italiana o di un torneo serbatoio come avviene in Spagna o nella Nba con la D-League. Si è preferito ricorrere a palliativi temporanei, imponendo gli under. Il risultato? Abbiamo riempito 64 squadre di B con giocatori coccolati e con un certo valore di mercato finché rientrano nei parametri 18-20 anni, poi quando diventano over, messi di fronte alla loro modestia tecnica, faticano a trovare un posto”. Il tecnico della Fortitudo ha un’idea su come la Fip debba gestire il proprio futuro. “Chi deve decidere decida senza farsi influenzare dai poteri intermedi”.
Negli ultimi giorni in molti hanno azzardato un confronto tra l’Italia e il modello Slovenia, giunto in finale con i fenomeni Dragic e Doncic. Ma come si lavora oltre confine? L’uomo giusto per tracciare una similitudine è Janez Drvaric, di Lubiana, allenatore di formazioni minori nel nostro Paese ma et della Slovenia di Zdovc, Alibegovic e Gorenc negli Europei 1993. “In Slovenia esiste una grande competizione tra gli sport. Un talento fisico viene conteso dal basket, dal volley, dalla pallamano. Si lavora tanto a livello giovanile. Nelle scuole si fa sport, ci sono sei canestri nelle palestre e gli insegnanti sanno di cosa parlano”. L’Italia al confronto è un altro mondo. “Il campionato sloveno non è di un professionismo esasperato e un diciottenne se è buono viene fatto giocare. Sarebbe bello trattenere tutti i talenti. Doncic a 13 anni è andato dall’Olimpia al Real Madrid e adesso altri due ragazzini sono finiti in Spagna. Istintivamente ci dispiace ma sappiamo comunque che cresceranno in un grande club e saranno più forti e pronti per la Nazionale”.