Il Prof Salerni non ci sta. La fine del basket a Firenze una sconfitta lacerante che ha una matrice fondante: la presunzione di certi personaggi che hanno incrociato le strade con la realtà toscana. Alcune sue considerazione tratte da Il Corriere Fiorentino a firma Marco Massetani.
L’età dell’oro del basket toscano è finita: dieci squadre tra serie A maschile e femminile nel 1991, ne sono rimaste tre. «Fu un periodo particolare racconta Salerni c’erano dirigenti ambiziosi e competenti, che avevano un rapporto speciale con gli allenatori. Penso a Menichetti e Varrasi a Firenze, a Ciccarelli a Siena, a Boris e Macchia a Livorno. C’era il senso della dimensione, un pizzico d’invidia per chi stava ai piani alti, vedi la Bologna di Porcili o la Cantù di Allievi, ma anche la consapevolezza che per arrivare a quei piani bisognava fare le scale, perché i soldi non si spendono bene con la fretta. La più grande soddisfazione è stata portare Firenze e Pistoia in serie A con i miei giocatori. A quei tempi non si compravano i titoli, adesso si usa commettere questo errore…».
«A Pistoia il seme c’era, e lo hanno saputo annaffiare, hanno costruito negli anni giocatori divenuti simbolo di una città intera, in serie C la squadra aveva 1.000 tifosi, che si accontentavano di bere questo caffè senza zucchero. A Firenze no, si pretendeva tutto e subito. Qualcuno ha commesso l’errore di sapere dove voleva arrivare senza sapere da dove partiva. Il basket in città è morto dopo l’era Pedini, un susseguirsi di personaggi che ragionavano solo con la propria testa. Bastagli con l’Everlast aveva grandi mezzi economici, ma poi sceglieva 1 giocatori che restavano simpatici al figlio. I progetti di Borsetti con la Pallacanestro Firenze e di Giotti con l’Affrico sono falliti perché nati da buona volontà e scarsa umiltà, persone sole e che da sole si sono fatte male, senza accettare consigli. Mi è venuto da ridere quando ho visto gettare via così tanti soldi per un allenatore come Caja senza un progetto dietro, senza guardare ai tecnici di casa, e mi chiedo come si possa scegliere di giocare in un Palasport deserto, con quei pochi tifosi che soffiano con le trombette senza che nessuno li senta».
«Non penso che Firenze abbia bisogno di un mecenate per risollevarsi conclude e non credo proprio che la famiglia Della Valle, che non ha aiutato Montegranaro, possa mai investire nel basket gigliato. Vedo semmai un sistema maieutico, che nasce da dentro, con le istituzioni pubbliche non più suggeritrici bensì esecutrici, con un pool di imprenditori locali di diversi settori capaci di aggregarsi, di dialogare con lo staff tecnico e i giocatori locali, di fare gruppo, di dedicare finalmente attenzioni al settore giovanile. E poi dico a Firenze di ripartire dal basso, di guadagnarsi sul campo almeno una promozione. I giocatori quando vincono un campionato è come se acquisissero una cittadinanza onoraria, diventano bandiere, come lo sono divenute Toppo e Galanda a Pistoia».